Adozioni felici: storie vere di madri e figlie

Debutta al Suq Genova Festival lo spettacolo verità di Emilia Marasco e Carla Peirolero, madre adottiva la prima e figlia di bimba abbandonata e adottata la seconda

ANGELA CALVINI

Avvenire, 23 giugno 2025

Il 21 e 22 giugno, nella suggestiva cornice della Chiesa di San Pietro in Banchi a Genova, andrà in scena in prima nazionale Nel nome una storia – Di adozioni felici, segreti e speranze, il nuovo spettacolo prodotto dal Suq Genova Festival e Teatro. Sul palco, Irene Lamponi e Carla Peirolero – quest’ultima anche direttrice artistica del festival – guidate dalla regia di Enrico Campanati. Il testo si ispira al libro Ti racconto com’ero di Emilia Marasco, pubblicato da Il Canneto, e intreccia due storie vere, intense e profondamente umane. Da una parte, la vicenda di una bambina etiope arrivata in Italia all’età di quattro anni, adottata da una famiglia italiana dopo aver lasciato un Paese segnato dalla guerra e dalla povertà. Dall’altra, quella di Maria, nata nel 1925 e abbandonata in un brefotrofio di Savona quando aveva solo sei mesi.

Maria fu poi accolta da una famiglia contadina della Val Bormida che, pur senza poterle dare il cognome, la crebbe con amore e dedizione. È proprio questa seconda storia ad avere una risonanza diretta nella vita di Carla Peirolero.

Maria era sua madre. Una donna cresciuta comunque in modo felice nella sua nuova famiglia, che dimostrò una forza straordinaria. A ventun anni decise di cercare la madre biologica, e con l’aiuto di quello che sarebbe diventato suo marito riuscì a ricostruire le tracce del passato. «Hanno trovato l’ostetrica che l’aveva fatta nascere racconta Carla – hanno fatto ricerche negli archivi, e alla fine quell’incontro è avvenuto. Mia madre ci ha raccontato tanto di quel momento. Era una donna molto religiosa, sentiva il bisogno di accudire gli altri, anche perché si portava dentro una ferita che aveva trasformato in amore».

Quella di Maria è una delle tante storie di adozione non dichiarata, tipiche del periodo fascista. All’epoca, chi veniva abbandonato nei brefotrofi riceveva il nome “figlio di N.N.”, e le possibilità di essere inserito legalmente in una nuova famiglia erano quasi nulle. Ma nonostante l’assenza di riconoscimenti ufficiali, l’amore e l’accoglienza che Maria ricevette dalla sua famiglia adottiva furono autentici. «La nonna Prospera l’ha cresciuta con grande affetto. Per noi è sempre stata la nonna, a tutti gli effetti. Mia madre ha sempre saputo tutto della sua storia, ma non l’ha mai vissuta come un’ombra: era una persona meravigliosa, trovava forza nel rendersi cura degli altri, nei bambini, in mia figlia, nella mia nipote».

Accanto a questa memoria personale, lo spettacolo porta in scena la storia di una giovane donna di origini etiopi, adottata da Emilia Marasco.

Arrivata in Italia da piccola da un Paese in guerra, la bimba ha affrontato il complesso percorso dell’inserimento in una nuova famiglia e in una nuova cultura. Il testo la chiama Saba, un nome di fantasia, ma la storia è reale. «Questa ragazza ha oggi venticinque anni. È cresciuta in Italia con un fratello adottivo e un fratello biologico. Emilia e il marito hanno fatto un lavoro straordinario, anche aiutandola a ricostruire la sua memoria. Le hanno creato un album di fotografie, l’hanno portata in Etiopia, nei luoghi della sua infanzia, per restituirle un senso di continuità – spiega la Peirolero -. E poi c’è il mio legame con Emilia Marasco, che è l’autrice del libro da cui siamo partite: abbiamo già collaborato in passato su Madri clandestine, un altro lavoro sulle maternità negate.». Il lavoro teatrale, scritto a quattro mani da Carla Peirolero e Irene Lamponi, è frutto di un processo lungo e complesso. La scelta di debuttare proprio ora non è casuale. «Il primo luglio mia madre avrebbe compiuto cent’anni. Per me è un modo per renderle omaggio. Ma anche per dire che quella sua storia di amore ricevuto, e poi donato, merita di essere raccontata.» aggiunge l’attrice e regista. Lo spettacolo si fa anche momento di riflessione civile. Oggi in Italia sono circa 21.000 i minori stranieri non accompagnati, ma solo il 3% riesce a entrare in un percorso di affido familiare. «Siamo ancora lontani da una cultura dell’accoglienza diffusa», osserva Carla.

«Le procedure per l’adozione internazionale sono lunghe, faticose, costose. E quando parliamo di affido per i minori stranieri non accompagnati, le difficoltà aumentano». Nel corso del Suq Festival, il tema verrà approfondito anche grazie alla presenza di Francina Foresti, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Figli Adottivi, e Maria Grazia Daniele, già senatrice, che a Genova fu protagonista della trasformazione dei brefotrofi in case famiglia negli anni Settanta. In scena, Carla e Irene vestono i panni di due donne che custodiscono un immaginario brefotrofio. Sono loro a scegliere e raccontare le storie di Maria e Saba, accompagnate da musiche, immagini e voci fuori campo. È un viaggio tra memoria e presente, tra dolore e speranza. «Siamo due personaggi che tengono tra le mani storie dimenticate.

Raccontarle è un atto d’amore, ma anche un gesto politico. Il teatro ha questo potere: rimettere al centro le vite invisibili» prosegue la Peirolero che sottolinea come il tema dell’adozio7ne, soprattutto in chiave femminile, sia ancora poco rappresentato, e come la sua esperienza familiare sia stata determinante nel voler affrontare questo racconto. Per lei, questo spettacolo è anche un ponte tra generazioni: tra sua madre, sua figlia, e la nipote. Un modo per dire che le radici possono affondare anche fuori dal sangue, e che ogni storia, se accolta, può trasformarsi in speranza. Lo spettacolo si conclude con una nota dolceamara, ma aperta. Il nome di Maria, oggi, è inciso su una tomba insieme a quello della famiglia che l’ha cresciuta: Maria Vetti Pera. Un gesto simbolico, che restituisce ciò che le era stato negato per legge: un cognome, un’appartenenza, una continuità.

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Genova, chiesa di San Pietro in Banchi

Nel nome una storia

Di adozioni felici, segreti e speranze

21-22 giugno

Carla Peirolero e Irene Lamponi in Nel nome una storia

Max Valle

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